
Tre anni fa lanciai un’idea provocatoria: la creazione del Libero Regno della Sibilla. Sorrisi, battute, richieste di chiarimenti arrivarono da facebook. Provocazione, spiegai… ma mica tanto.
Dagli anni Ottanta seguo un filone socio-politico particolare: il comunitarismo. Ne parlava Alasdair MacIntyre, filosofo-sociologo scozzese, seguace di Aristotele e san Tommaso.
Comunità da ricostituire o costruire dinanzi alla liquidità del mondo, la sua tesi.
Resta un cartello sbiadito che indica la Comunanza agraria di Rubbiano di Montefortino
Un libro recentissimo di Maurizio Molinari, “Il ritorno delle tribù”, riprende, anche se con accezioni negative, lo stesso tema. Siamo in una fase di dissoluzione degli stati nazionali, la maggior parte dei quali disegnati geometricamente dai vincitori alla fine della Prima e Seconda guerra mondiale, senza tener conto della storia delle terre. Azione che ha creato le premesse, specie in Medio Oriente, per le deflagrazioni odierne, e la dissoluzione delle entità maggiori, come l’Europa (la Brexit degli inglesi, ma anche quella possibile della Catalogna dalla Spagna). Molinari paventa la rinascita dei gruppi, delle micro-patrie, delle tribù appunto.
La debolezza culturale odierna è quella di un pensiero che dà istituzioni e modelli per scontati una volta per sempre. Eppure, il domani potrebbe delinearsi del tutto diverso dall’oggi.
Ci riflettevo ascoltando la relazione che Nelson Gentili, funzionario della Comunità dei Monti Sibillini, ha svolto domenica 17 settembre in occasione delle manifestazioni del FAI a Montefortino.
Il suo tema era le Comunanze agrarie. Un modello di gestione del territorio che viene dal profondo della storia. Gruppi di persone che si misero insieme dando vita ad antiche società comunitarie per gestire, specie in montagna, proprietà collettive, come il bosco ad esempio.
Nelson Gentili, rifacendosi alla famosa inchiesta Jacini svolta a cavallo del 1800, ha ricordato che, specie le Marche, avevano questo modello originale.
In quella che oggi è la Comunità dei Sibillini insistevano quasi una novantina di Comunanze agrarie di cui 25 ad Amandola, 23 a Montemonaco, 27 a Montefortino. Attualmente, dinanzi al problema del nuovo centralismo regionale e statale, e della cultura individualista che, da un lato ha portato a dimenticare un suo proprio modello comunitario, e dall’altro a delegare in bianco alle istituzioni pubbliche le diverse gestioni, di Comunanze ne restano poche e anche poco incisive: 7 a Montefortino, 11 a Montemonaco, 4 ad Amandola,
L’ultimo colpo è arrivato dal Decreto del Presidente della Giunta regionale che nel 1987 ha sciolto le altre per mancanza dei comitati di amministrazione.
Ugo Bellesi ricordava un anno fa che «Dopo l’annessione delle Marche al Regno d’Italia, nella nostra regione c’erano 350 comunanze distribuite in 17 comuni».
Grande sostenitrice, e forse utopista, di questo modello arcaico e autarchico, è stata Joyce Lussu che ne parlò anche in riferimento alla Sibilla e al matriarcato.
Ma le comunanze furono anche il primo seme di autonomia locale nel passaggio dal Feudalesimo al Comune, come ci ricorda Teresa Romani Adami.
È il tema dunque della libertà e della sua difesa. Chissà che non possa essere un nuovo modello di civiltà?