Cammino la Terra di Marca. Il San Liberato del cuore

Storia, Tradizione
Adolfo Leoni
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Pronunci: «San Liberato» e quasi tutti vanno col pensiero al San Liberato di Sarnano, là dove sorge un convento francescano. Invece no! Il nostro San Liberato è quella minuscola chiesa che si trova sul colle tra Monte Vidon Corrado, Montegiorgio, Montappone. Cucuzzolo di 425 metri, visibile dalla piana del Tenna, dal belvedere di Falerone e dall’area del vulcanello – lu vullicaru – situato in contrada Saletto, lungo il fosso della Rota, nella suggestiva e molto intricata Gola del Tarucchio.

San Liberato è quasi sicuramente la collina più alta, impettita e anche intrigante, da dove si gode un incredibile panorama a 360 gradi. Ti domandi: che ci fa lì, in un luogo solitario, una chiesetta solitaria? Risponderò più tardi, con le parole dello storico Mario Liberati e con le intuizioni del prof. Rocchi.

San liberato

Tre anni fa, visto lo stato di semi-abbandono, la mia associazione Antichi sentieri Nuovi cammini si armò di zappa, decespugliatore, roncole e sacchi d’immondizia per eliminare erbacce, rovi, qualche siringa di troppo, e rendere visitabile l’area, rendendo così omaggio al pittore Osvaldo Licini che quel colle amava e dal quale prendeva spunto per il suo dipingere strano quanto affascinante.

Ne riparlo oggi, dopo un certo tempo, per una iniziativa che va sicuramente sostenuta.

La delegazione fermana del Fondo Ambiente Italiano ha inserito San Liberato tra i Luoghi del Cuore. Votarlo, raccogliere le firme, parlarne, riprenderne coscienza significa riabilitare un bene con la possibilità di aiuti economici per il suo restauro. Non è poco. Ma occorre una mobilitazione per raggiungere l’obiettivo.

Anticipavo degli storici Liberati e Rocchi. «Il titolo ufficiale della chiesa – scrive Mario Liberati – è Santi Liberatore e Vitale, nomi ridotti nella forma di Liberato e Vito dalla plurisecolare devozione dei fedeli». I due santi sono raffigurati nella parete verso l’abside in «un affresco alquanto malconcio, recante la data 1549, attribuito a Orfeo Presutti». Rocchi pensava invece che la prima intitolazione fosse ai santi Giuliano e Martino.

Al di là delle titolarità e della religione cristiana, c’è anche chi pensa che quel luogo fosse reso sacro dalla presenza di un tempio consacrato a Giove.

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Un tempio a Zeus, in quel luogo? Perché no! Visto con gli occhi di oggi qualche dubbio verrebbe. Ripensato con quelli di ieri probabilità ce ne sarebbero, e molte.

Siamo nella terra della Centuriazione augustea e siamo in una zona di grande passaggio dal Mare nostrum Adriatico a quello Tirreno. Un tempio ci sta.

Se poi, vogliamo risalire più indietro, i Piceni abitavano luoghi alti ed erano capaci agricoltori e allevatori di bestiame. Anche di cavalli. E qui soccorre un’antica tradizione che ne conferma la veridicità. «Fino agli anni ’50 dello scorso secolo – scrive Liberati – il giorno 17 agosto vi si teneva una fiera piuttosto frequentata…». Era quella dei cavalli, appunto. Ma al di là di parole e studi, andate a San Liberato, magari di notte, salendo a piedi il colle, incontrando un mare di lucciole e recitando il mio amico Rondoni: «… sfiorano i cespugli, i lunghi rami oscuri, ridono gli occhi e tace il puma del mio cuore».