Fermo città di mare e di corsari

Storia, Tradizione
Adolfo Leoni
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Gira per il fermano un piccolo volume. Parla dell’Adriatico o Golfo di Venezia, della guerra di corsa, di un pirata prima e corsaro dopo, di una città che è vissuta sul mare e di mare. S’intitola Il Ricamatore. Lo ha scritto un giovane antropologo: Giacomo Recchioni. È una perla che ricostruisce un pezzo importante della storia di Fermo. Il Ricamatore visse a cavallo del XVI secolo, nato forse nel 1535, rampollo «bastardo» della famiglia dei Raccamadoro. Il suo nome non fu registrato negli archivi parrocchiali «ed è questa la ragione per cui è ignoto il suo anno di nascita». Il solo dato certo – scrive Recchioni - è la sua appartenenza a una famiglia importante «esperta nel trattamento delle stoffe». Del suo trisavolo irrequieto e parente imbarazzante scrisse Domenico Raccamadoro due secoli più tardi, così definendolo: «Era costui frutto d’una pianta nobile, ma partorito da un innesto selvaggio».

Qual è l’importanza del libro? In primo luogo nel raccontare che Il Ricamatore dopo aver abbandonato la fede cristiana e la famiglia ricca (ma, in verità, era stata la famiglia a tenerlo a distanza), si fece prima pirata, capo di una banda, tra gli altri, di uscocchi e albanesi, compì una serie impressionante di scorrerie lungo l’Adriatico, poi, rinnegato, divenne corsaro al servizio dei Turchi, abbracciando la religione dell’Islam. Non un corsaro romantico alla Salgari o avventuroso alla Kypling, ma un crudele comandante capace di stragi e di violenze inaudite. Il secondo punto è l’immagine della città di Fermo che risalta come città di mare a tutti gli effetti. Una storia dimenticata, che legava questa città a Venezia (bisognosa di alleanze contro Ancona e Genova) e all’altra sponda del mare dove, scrive Recchioni, «tra i podestà di Spalato, tra il XIII e il XIV secolo, furono presenti almeno cinque cittadini fermani». Infine, un altro merito è quello di aver ricordato a tutti che la vera autostrada commerciale nei secoli passati era proprio quella marittima. Oggi si scorgono natanti da diporto e navi da crociera. Ieri le acque brulicavano di imbarcazioni che lo solcavano da nord a sud, da est a ovest, cariche di legname, agrumi, grano, vino, manufatti tessili, carta, profumi, pellami, spezie e, soprattutto olio. Il famoso olio de Marchia. Ma in quel mare dagli scambi così vivaci e quotidiani imperversava pure lui: Il Ricamatore, il super ricercato dalla Serenissima. Era il 1572. L’ammiraglio Almorò Hermolao Tiepolo lo inseguì con la sua galera e con le altre navi di scorta, davanti al Monte Conero lo bloccò. I «Vinitiani» dettero l’ultimatum ai corsari turchi. Il Ricamatore tentò di confondersi tra la ciurma. Poi indossò «habiti di uno schiavo cristiano» e si mise ai piedi una grossa catena. Tutto inutile. Gli stessi suoi uomini lo accoltellarono e ne consegnarono il corpo all’ammiraglio. È la fine del Ricamatore. Il cadavere viene fatto «strascinare per tutta la città d’Ancona» e poi scorticato. Una pratica che, in situazioni invertite, un anno prima era toccata al comandante cristiano di Famagosta: il veneziano Marcantonio Bragadin.