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Prima di Massimo c’è stato Giovanni (suo padre) che, ancora, gagliardo, dà una mano in azienda; prima ancora c’era nonno Sesto; e indietro indietro indietro arriviamo a Giosafat, metà Ottocento, con molino e frantoio.
È questa la famiglia Miconi, un tempo mugnaia e frantoiana. Oggi frantoiana e produttrice di olio. Da cinque anni, Massimo Miconi (45 anni) è tornato a Servigliano e ha preso in mano l’impresa.
L’Oleificio Miconi lo trovo nella zona della Parapina, sulla strada che da Servigliano conduce ad Amandola. Poco più avanti dello slargo che accoglie frantoio e punto vendita, sorge la vecchia chiesa di san Gualtiero. Raccontano sia stata costruita laddove s’inchiodarono i buoi con il carro dov’erano deposte le spoglie del santo.
Massimo Miconi
Massimo è reduce da un giro nel nord Italia. L’intenzione è quella di entrare nei mercati di quell’area.
Intorno al frantoio, gli ulivi sono ammantati di neve. Miconi ne ha più di duecento. Le altre olive arrivano dagli agricoltori di tre vallate: Tenna, Chienti e Valnerina (zona umbra).
La produzione propria è soprattutto incentrata sul Sargano di Fermo. «Da questa piccola oliva – mi spiega – viene fuori un prodotto con il più basso tasso oleico, quindi un olio più digestivo, con un tasso di polifenoli altissimo, fortemente antiossidante». L’olio del Sargano di Fermo, per decenni sparito dalla produzione perché «piantaccia che richiede una sofferenza nella raccolta», un tempo era usato per i neonati e per curare i malati, «in purezza, si vendeva nelle farmacie». Per dire delle proprietà curative, senza nulla togliere al «sapore eccezionale».
Il gran lavoro, racconta Massimo, si concentra nel periodo che va da fine settembre a fine dicembre. «C’è la nostra raccolta, c’è l’arrivo delle olive dal territorio, ci sono le operazioni nel frantoio con il processo di produzione dell’olio extra vergine che si basa su una tradizione secolare e su impianti moderni, di tipo continuo a temperatura rigorosamente controllata: estrazione a freddo». In quel periodo, Massimo e suo padre Giovanni lavorano instancabilmente, dandosi il cambio, anche 22-23 ore di fila.
È dura ma c’è anche un clima di festa in frantoio. Gli agricoltori che conferiscono le olive vivono quel momento come un rito d’altri tempi. Si festeggia l’olio nuovo considerato quasi sacro. «Portano ciambelloni, paste, mistrà casalingo, vino cotto».
Tornando all’oliva. Massimo dettaglia i diversi momenti: «Il metodo utilizzato è quello tradizionale e più antico, la raccolta manuale, che permette all’olivo di non subire lesioni e danni che porterebbero ad un aumento dell’acidità dell’olio. Appena raccolte, le olive vengono conservate e trasportate al frantoio mediante cassette di plastica forate in modo da permettere la circolazione dell’aria e ridurre al minimo l’umidità.
Giunte a destinazione, sono lavorate entro le 48 ore in modo da evitare fenomeni di fermentazione che porterebbero ad un aumento di acidità dell’olio».
Esco soddisfatto tra la neve dopo aver assaggiato una bruschetta innaffiata d’olio extra vergine. Marchio: Oleificio Miconi.