GENTE DI CAMPO. L’agricoltura di Pancrazio Tulli: terra e solidarietà

Attività fisica, Ospitalità, Salute, Stagionalità
Adolfo Leoni
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Quando arrivo, in contrada Santa Lucia di Servigliano (Marche, Italia), sta spargendo letame in una porzione quadrata di terreno. Il giorno prima ha scavato fosse per le patate. Il breve filare di vigna non appoggia a paletti di cemento ma a piante di acero. Margherite ovunque.

Con Pancrazio Tulli si va subito all’essenziale.

Non solo agricoltore: Pancrazio Tulli

Il campo che coltiva si stende su dieci ettari, alcuni in affitto. Lui usa la vecchia rotazione quinquennale per cui la terra deve riposare e prepararsi alle nuove semine: erba medica, grano tenero, sorgo e miglio: i prodotti che mette in vendita. Tra i suoi grani c’è l’Abbondanza; della Jervicella s’interessava 20 anni fa, senza che andasse di moda.

C’è poi l’auto-produzione per la famiglia (moglie  tedesca: Margret, tre figli grandi): vino, olio, uova, pollame, conigli.

Ci sediamo sotto una quercia plurisecolare, dinanzi ad un locale ad un piano che «serve per accogliere in estate ospiti con disabilità». Il sole picchia. C’è una verandina in mattoni con mini-cucina e, fuori, un forno a legna.

La campagna di Pancrazio scende da un lato verso l’Ete Vivo, confinando con Monteleone di Fermo, e si estende, dall’altro, verso Belmonte Piceno.

La collina, nonostante neve, piogge e scosse di terremoto, è rimasta salda. Qui si è agricoltori e paesaggisti. Si custodisce e si difende il creato.

Verso l’Ete si scorge una costruzione antica. Non è sua. È un molino ad acqua, come tanti ce n’erano in questa zona. Facendo due passi in più s’incontrerebbero i vulcanelli di Monteleone e quello di Servigliano.

La meridiana incastonata sulla parete della casa di Pancrazio

Si respira aria buona e aria di libertà. Pancrazio, sorridendo, tra il serio e il faceto, spiega che «siamo nello Stato libero di Santa Lucia bassa». La cosa intriga. La ricollego idealmente alla Contea del sindaco Pirozzi di Amatrice e al Libero stato della Sibilla che, goliardicamente ma mica tanto, lanciammo anni fa.

Pancrazio è agricoltore da sempre, da quando, rimasto orfano a sette anni del padre Giuseppe minatore, aiutava mamma Adilce Piersanti, a coltivare in contrada Sette Camini di Piane di Montegiorgio i pomodori, accudire la vigna, potare gli alberi da frutto. C’era povertà.

Diplomato all’ITI Montani di Fermo, Pancrazio che oggi ha 59 anni, si iscrisse alla facoltà di Medicina di Roma sostenendosi agli studi come gelataio.

Tra i primi obiettori di coscienza, svolse il servizio civile presso la Comunità di Capodarco di don Franco Monterubbianesi che aveva dato il via ad una forte esperienza agricola a Grottaferrata in una proprietà delle suore Francescane missionarie dov’era vissuta la beata Assunta Pallotta da Force.

Pancrazio ha avuto incontri significativi: il gruppo Abele, don Ciotti, l’Università della strada, Achille Ascari.

Passeggiata tra le margherite

Agricoltura biologica e sociale. Terra e solidarietà. I suoi punti fermi.

A Servigliano è sbarcato per lavorare in campagna e assistere un giovane schizofrenico.

I problemi dei contadini? L’asfissia dei burocrati. «Prima occorreva saper coltivare, oggi occorre una laurea in economia o giurisprudenza per compilare i modelli».

Eppure lui ci crede: «L’agricoltura non è solo produrre. È uno stile, una qualità alta della vita».