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Contrada Camera di Fermo è una bella zona nei pressi del fiume Ete. È qui, in un fazzoletto di terra, che Sergio Vallorani (classe 1964) sperimenta la permacultura.
Lo incontro in una mattinata di freddo-umido. Indossa giacca a vento, cuffia da sci e scarponi. È da ore che sta controllando la campagna.
Sergio Vallorani nel suo appezzamento di terra
Sapevo del suo interesse. Non è la prima volta che, visitando le piccole aziende gestite da giovani, m’imbatto in questo sistema naturale. Prima della visita, mi sono documentato: «La permacultura è un metodo per progettare e gestire paesaggi antropizzati in modo che siano in grado di soddisfare bisogni della popolazione quali cibo, fibre ed energia e al contempo presentino la resilienza, ricchezza e stabilità di ecosistemi naturali. Il metodo della permacoltura è stato sviluppato a partire dagli anni settanta da Bill Mollison e David Holmgren attingendo da varie aree quali architettura, biologia, selvicoltura, agricoltura e zootecnia». Non solo metodo, mi sembra anche filosofia di vita: «Le strategie “dal basso verso l’alto” più rilevanti partono dall’individuo e si sviluppano attraverso l’esempio e l’emulazione fino a generare cambiamenti di massa. La permacultura non ha come obiettivo principale quello di far pressione su governo e istituzioni per cambiare la politica, ma quello di permettere a individui, famiglie e comunità locali di accentuare la loro autosufficienza e autoregolazione».
Calo la mia infarinatura nella realtà di Vallorani. La prima cosa che mi colpisce è il camminare su un tappeto di cippato, morbido. Se non fosse per il freddo, credo che entrambi ci toglieremmo gli scarponi.
Un rettangolo, questa è la forma dell’appezzamento. In un lato: quello più corto e più in alto, Sergio ha realizzato un «laghetto», che a me sembra uno stagno. L’obiettivo però non cambia: raccogliere l’acqua piovana e, per caduta o per «sifonaggio», condottarla e distribuirla ai diversi cumuli sul terreno realizzati con materiali inerti (argilla, lapillo, pietra pomice) perché se ne impregnino dando luogo a microorganismi che producano humus.
Un modo per fertilizzare la terra senza ricorrere a sostanze chimiche. Sui cumuli spuntano diversi ortaggi come i cavoli di Bruxelles. Vallorani è molto preparato. Mi parla delle micorize, che è un rapporto tra il fungo e la pianta superiore; della «rete di comunicazione tra le piante» che lanciano allarmi se una è attaccata da parassiti.
«Ho il bosco come sistema di riferimento, come equilibrio», mi ripete, «connessione tra il tutto».
Più avanti, degradante verso il fosso Terqueta, c’è l’area noci americane, dove si prevedono funghi, tartufi e asparagi. L’area centrale dell’appezzamento invece «sarà piantumata con alberi autoctoni: mele rosa, mele anurca, ciliegi della Marca».
L’azienda è nata nel giugno del 2016. Giovanissima. Le coltivazioni le si vedranno nei prossimi anni. Sergio se lo può permettere in quanto ha un’altra occupazione: la rappresentanza di materiale impiantistico ed elettropompe, qualcosa comunque che ha a che fare con l’acqua e la terra. E con l’equilibrio naturale.