RACCONTI DELLA MARCA. La tempesta in mare e le preghiere di chi attende

Adolfo Leoni
In questo articolo parliamo di:

Le donne con i bimbi stretti a sé, uscirono di casa.

L’oscurità copriva il paese ancora in gran parte addormentato.

Era stato quel vento maledetto a dar la sveglia alle famiglie dei marinai. Un vento conosciuto e  troppe volte già temuto.

Una storia di lutti. Ma anche di speranze ritrovate.

Ora, camminavano veloci, in silenzio, verso la spiaggia. In capo, le donne, quasi tutte tenevano la mantellina nera, e ai piedi, le ciabatte sformate.

Incuranti del freddo, della pioggia, raggiunsero la battigia, scrutando l’orizzonte. Ognuna accanto al posto lasciato libero dall’imbarcazione del figlio o dello sposo.

Erano partiti presto, i loro uomini, molto prima dell’alba. Le lancette e le paranze avevano, come sempre, preso il largo con le prore che fendevano l’acqua scura.

mare

I volti dei santi, le chiavi di San Pietro, o le sirene, disegnati sulle ossature trasversali delle barche ora apparivano e ora tornavano a tuffarsi tra la schiuma.

Doveva essere una giornata tranquilla, anche se faticosa, di lavoro e di pesca. Il mare invece all’improvviso iniziò a gonfiarsi e i cavalloni a farsi pericolosi. Quel maledetto vento non ci voleva proprio.

I pescatori ne conoscevano bene la possibile malvagità, sapevano bene, per aver mille volte rischiato, che la natura non è il paradiso, che le acque non sono madri. Hanno il difetto degli uomini: la fragilità.

Lo chiamavano «lu scigghiò », la tromba marina. Sin da bambini avevano ascoltato storie di disastri legati a quelle raffiche. Le raccontavano vecchi e grinzosi marinai intenti al rammendo delle reti.

Anche le loro donne ne erano ben consapevoli. E quasi un sol corpo, inginocchiate sulla sabbia umida, mentre il mare le lambiva di onde gelide, invocavano il santo protettore: «San Gnorgjo mio, vèllu, caro, sarva lo marito mio, che sta a lo maro; libbaramelu da lu scigghiò».

Non si pregava solo sulla terraferma, le litanie imparate da piccoli si levavano alte anche sulle imbarcazioni nella bufera. Che la Madonna di Loreto, che i santi protettori degli uomini di mare fossero intervenuti!

I pescatori, oramai fradici, le pronunciavano intenti a governar il timone e  buttar fuori l’acqua penetrata nello scafo.

Nello scigghiò vedevano non solo la brutalità della natura matrigna ma anche una forza magica e arcaica.

La tromba marina si diceva fosse formata dalle anime di defunti. Da migliaia, milioni di anime di coloro che avevano ricevuto torti proprio dai marinai. Quelle anime scontente volevano ora vendicarsi su qualcuno, non importava chi fosse il malcapitato. Perisse pure l’innocente per l’ingiusto.  E, vestite di bianco, come tanti fantasmi avvinghiati tra  loro, davano vita a una forza spaventosa e devastatrice.

Sulle barche sbalzate, sollevate e ricacciate in basso dai marosi, il «tagliatore», l’uomo più impavido dell’equipaggio, tentava di fendere la tromba d’aria con un coltello, una spada, un arpione. Sporto oltre la prua, cinto da una fune che lo tratteneva al legno della barca, ripeteva il gesto antico appreso sui moli in gioventù.

Poi, poco a poco, la tempesta si placò, il mare tornò tranquillo. E i pescatori esausti attraccarono, riabbracciando i propri cari.

Quella volta la fortuna sorrise a tutti. Altre, qualche donna non aveva ricevuto più alcun abbraccio perché il mare aveva preteso la sua vittima.

Stavolta si tornò a sorridere.